30 aprile 2020
Libri

La donna di Gilles di Madeleine Bourdouxhe

la donna di gilles

Quando pensi di aver capito tutto dell’amore, arriva Madeleine Bourdouxhe che ti accarezza il cuore e poi te lo fa letteralmente a pezzi. Era riuscita già in Marie aspetta Marie, ma con La donna di Gilles – sempre pubblicato da adelphi – raggiunge la perfezione in fatto di sentimenti. Già il titolo contiene innumerevoli significati: la donna di Gilles, una persona che appartiene a qualcuno e che basa la sua esistenza proprio sul quel possesso (l’ambiguità del francese femme porta a identificarla come donna e moglie). Si chiama Elisa, è sposata con Gilles, madre di due bambine e di un terzo figlio in arrivo. Vive negli anni 30 in una città industriale del Nord Europa (Simenon riconoscerà Liegi), una di quelle con gli altiforni, il fumo nel cielo e gli operai con il viso sempre sporco dal lavoro in miniera. La sua è una tipica famiglia proletaria, che si accontenta del focolare domestico e di qualche uscita serale. Ma soprattutto è una famiglia fondata sull’amore, quello di Elisa nei confronti di Gilles. Più che amore è un sentimento totalizzante: il marito rappresenta il centro della sua esistenza. Scoprire che viene tradita con la sorella Victorine innescherà dentro di lei un vortice di sofferenza che a volte si trasforma in strategia e a volte in illusione: come può continuare a vivere con con quella persona che le ha dato e le ha tolto tutto?

Madeleine Bourdouxhe è abile nel descrivere il dolore e la speranza di Elisa, vittima e martire della sua stessa concezione di amore. Sul piatto della disgrazia non abbiamo solo il suo sentimento: Elisa ama in modo travolgente, Gilles è accecato dalla passione per Victorine, e quest’ultima si prende gioco di tutti senza sensi di colpa. Incarnano tre tipi differenti di amore, e noi siamo solo spettatori di una tragedia nella quale è facile immedesimarsi e prendere le parti. Una scena in particolare è carica di quel dolore che stringe il petto, ti resta addosso e ti rende finalmente consapevole che la gioia non può e non deve dipendere solo dagli altri. Ecco, quella scena i cui protagonisti sono un pic nic, un mazzo di fiori e una felicità mai raggiunta, per me racchiude il significato di questo romanzo, perché anche le migliori intenzioni nascondono altri obiettivi, e chi vuole rallegrarsene, anche solo per poche ore, si ritrova tristemente tagliato fuori. Ho trovato eccellente il modo di far interagire i personaggi in un susseguirsi di stagioni tutte uguali, con quella ricerca spasmodica di un cambiamento o di un ritorno alla normalità. Ma quando un rapporto è fondato sulla dipendenza affettiva, nulla è davvero normale e nulla può tornare come prima, perché la sofferenza non ha interruttori: senza strumenti e lucidità è facile cadere nell’abisso dell’autodistruzione, che sia consapevole o inconscia. Leggendo queste poche ma intense pagine si nota come il dolore possa trasformarsi in angosciante accettazione, come la vita sia fatta di momenti precari e non sempre beati, che la solitudine, in tutte le sue forme, rischia di creare terreno fertile per l’annichilimento. E forse tutto questo Elisa non è stata in grado di sopportarlo.

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