20 agosto 2012
Libri, Recensioni

Piccolo testamento – Gabriele Dadati

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[…] ma quando avevamo mandato in stampa la rivista Vittorio non era già più in grado di mettere davvero a fuoco il risultato di quel lavoro. Non poteva essere compiaciuto o dispiaciuto o altro ancora, perché di lì a non molto avrebbe smessa la sua funzione di tutta una vita, quella di formidabile lettore, per far sì che il suo calvario potesse avere corso senza ostacoli.

***

Scrittore trentenne che parla di scrittore trentenne. Pur non amando particolarmente questo genere di autoreferenzialità, ho voluto avvicinarmi a Piccolo testamento di Gabriele Dadati. E ho fatto bene. Poche pagine, ma intense, nonostante quell’asetticità voluta che tenta di allontanare il lettore ed evita di coinvolgerlo completamente nella storia. Per me è stato tutto il contrario. Proprio questa scrittura fredda e distaccata mi ha permesso di comprendere ancora meglio il rapporto tra l’io narrante e la vita. Anche se il tema principale potrebbe apparire a primo impatto quello della morte. Perché questo scrittore che piano piano si insinua nelle vie della letteratura italiana ha vissuto un rapporto unico e autentico con il suo mentore, Vittorio, intellettuale e critico letterario dai giudizi sempre precisi e coerenti. Ma questa educazione intellettuale è terminata troppo presto, perché Vittorio è morto prematuramente per un tumore al cervello, lasciando il suo allievo privo di quella figura così importante con la quale aveva creato una liturgia nelle abitudini e negli insegnamenti.

Il fantasma di Vittorio si incontrerà con quello di Marta, forse l’unica compagna veramente amata dalla voce narrante. Le altre donne sono solo di passaggio, donne verso le quali c’è un sentimento che rifiuta di dare e non si sogna di pretendere. L’interesse per l’altro sesso è quasi esclusivamente pornografico, una storia di corpi che si accontentano di essere corpi. Anche Marta è morta, perché non era presente durante gli ultimi anni di vita del protagonista, rimasto ormai invischiato in una solitudine senza via di scampo.

Ci sono solo i ricordi.

«Esistono delle cose belle nella vita, delle cose che tutti conosciamo, e i primi momenti di un innamoramento sono una di queste. Non vale la pena di aggiungere altro. Poi vengono i ricordi di tutto il resto, che alla rinfusa riempiono quattro anni. I viaggi, le cene, i libri che ci prestavamo, il tenerci la fronte a vicenda quando c’erano problemi, i litigi, i piccoli ricatti, i morsi, Marta che mi prende in giro quando senza rendermene conto mi ripeto o torno a fare per l’ennesima volta lo stesso gesto, tutto il combaciare dei corpi, le bugie per omissione e quelle vere e proprie, le confessioni, le mail e i messaggi, le insicurezze […] Esistono inoltre delle cose brutte nella vita, delle cose che tutti conosciamo, e gli ultimi momenti di un innamoramento sono una di queste».

E volano così i fantasmi delle cose fatte assieme in quattro anni.

Nessuno potrà mai sapere ciò che prova questo giovane uomo, mentre si accorge di aver perso le uniche due persone più importanti. Nessuno potrà venire a conoscenza del rimpianto che prova a non aver ucciso il suo maestro. Perché è quello il diritto di ogni allievo: «Un uomo può essere ucciso solo da chi quest’uomo ha scelto per insegnargli quello che sa». Ed è un diritto che gli è stato negato. Così come nessuno potrà immaginare che nella sua mente continuerà a vivere il sogno di Marta.

Non gli rimane che il lavoro di scrittore, con le sue fatiche e il continuo esercizio per migliorare uno stile già definito e apprezzato. Gli unici a fargli ancora compagnia saranno i libri sugli scaffali: Omero, Sterne, Bulgakov e tutti gli altri classici immaginifici riposti nella stanza in cui dorme. «Quelli degli autori viventi invece li ho messi sugli scaffali dello studio perché possano urlarmi addosso con forza mentre lavoro. Ma in verità è dall’urlo dei morti che uno scrittore dovrebbe soprattutto guardarsi».

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